Antonio quella mattina si alzò molto presto.
Non si era ancora spento l'ultimo rintocco della campana di S. Maria Gloriosa
dei Frari che annunciava il nascere del nuovo giorno
nel tenue bagliore dei primi raggi riflessi dalla cupola di S. Marco
quando Antonio scese i gradini della sua casa in Campo S. Polo
e s'incamminò verso le Fondamenta di Cannaregio.
Si fermò un attimo a guardare la sua piazza e quella finestra dove soleva spesso affacciarsi
per ammirare la moltitudine di gente che da ogni paese giungeva per i commerci.
Uno spettacolo grandioso, dame con guance bianche e levigate che parevano fatte di porcellana
si alternavano ad uomini dai diversi abbigliamenti che gridavano a pieni polmoni la loro
mercanzia confusi tra gondolieri, comari e saltim-banchi.
Tante facce dal diverso profilo alle quali Antonio, come in un gioco in cui era l'unico a partecipare
attribuiva una cittadinanza costruendo una fantasiosa storia.
Era il giorno dell'inizio del suo viaggio verso una terra lontana e sconosciuta,
che il Senato della Serenissima gli aveva ordinato di raggiungere.
I Veneziani erano mercanti e viaggiatori, ma Antonio,
cartografo della Repubblica di S. Marco
aveva passato la sua giovane vita tra la casa e il palazzo del catasto.
I suoi unici viaggi li aveva compiuti su quelle carte che descrivevano mondi e posti diversi,
costruiti con tratti d'inchiostro e suggestive macchie di colori.
Non erano molte le cose che lasciava, ma erano la sua vita.
Il loro ricordo gli avrebbe consentito di non sentirsi solo in quelle terre
e l'avrebbe aiutato a non spezzare il legame d'affetto con la sua città natale.
Le strade ancora deserte gli consentivano di muoversi senza assillo,
permettendo alla sua mente di rivivere i giorni passati
a ricercare notizie sulla sua prossima meta e a congedarsi dagli amici.
Li primo frammento che gli si materializzò davanti agli occhi
lo poneva davanti all'ingresso del Palazzo Ducale, in Piazza S. Marco
la mattina in cui aveva avuto l'incarico di raggiungere, nella quadra di Ultra Agugiam,
la vicaria di Piazza Brembana nella Valle Brembana.
Era entrato nel Palazzo Ducale per la porta della Carta
e superato il cortile e salita la scala d'Oro,
aveva raggiunto la grande sala delle Mappe.
Era quindi entrato nella sala delle quattro porte, adibita a biblioteca,
dove erano tenuti tutti gli incartamenti del Senato
relativi ai possedimenti della Serenissima. Antonio,
tolte dalla sua sacca le mappe riguardanti le terre di Bergamo e postele sul tavolo,
aveva aperto il voluminoso incartamento del Capitano di Bergamo Giovanni da Lezze che dava dettagliatissima relazione al Senato della Repubblica di S. Marco
sulle condizioni dei territori visitati.
Piano piano, i tratti della mappa incominciavano ad assumere una loro logica.
Quel puntino, posto tra due linee di colore azzurro che indicavano un fiume
il cui nome ora sapeva essere Brembo e altri tratti che rappresentavano le montagne,
era il paese di Piazza Brembana.
Pochi erano gli abitanti, scriveva il Da Lezze, in numero di 275,
tanti vecchi, donne e putti, pochi gli utili solo 53,
ed erano quelli che abitavano quelle terre che venivano dette della Piazza.
Antonio segnava tutto sulla sua mappa ed intorno a quel puntino scrisse i nomi dei vari monti.
Pose a ovest il monte Forcella et Foghelini, a est il Collonghello
e a nord il Monte Sole, mentre con tratto diverso scrisse i nomi delle quattro contrade,
Piazza, Casteler, Vachera e Prat della Piazza,
disegnando anche la fucina grossa, la segheria e due mulini che esistevano nel comune.
Seguendo il tracciato che indicava il fiume, scese da Piazza verso il disegno
che rappresentava un grosso borgo fortificato,
fermò il dito su quelle mura turrite e, alzato lo sguardo verso il libro aperto,
lesse il suo nome e lo riportò sulla carta.
Bergamo, questo vi era scritto, era il capoluogo diquella valle detta Valle Brembana,
che però si riferiva solo alla parte media e bassa,
mentre per l'Alta Valle Brembana era tenuto il nome d' Oltre la Goggia.
Antonio aveva già sentito questo nome quando il Senato nella lettera d'incarico
verso la sua nuova destinazione parlava di una
"Ultra Agugiam... in locis de la Plaza - Piazza Brembana".
Era la Goggia un guglia rocciosa protesa sulla strada
e posta poco sopra il luogo verso nord,
dove il torrente Farina confluisce nel Brembo.
Gli abitanti della comunità della Valle Oltre la Goggia
erano definiti da quelli della Valle Inferiore "de Ultra Agugiam",
mentre loro si consideravano "Cifra Agu-giam" ossia al di qua della Goggia,
ponendo al di là della Goggia le comunità della bassa valle.
Questo doveva ricordarselo, poiché nel suo nuovo lavoro avrebbe dovuto spesso visionare atti
che secondo da quale parte erano stati redatti,
avrebbero riportato i termini Citra o Ultra pur riferendosi alla stessa zona. |